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Un tesoro in casa, ma la Roma preferisce l'estero

Antonucci, decisivo per il pari con la Samp, è l'ultimo caso. Tanti i ragazzi cresciuti a Trigoria che hanno trovaro però poco spazio in giallorosso, il club punta spesso sul prodotto d'importazione, una politica che non sempre ha garantito dividendi
Giovedì 25 gennaio 2018
ROMA - Era il minuto 29 di Sampdoria-Roma. Di Francesco richiamava il ventenne turco Under in panchina, al suo posto la lavagna luminosa esponeva il numero 48: "E chi è questo ragazzino?", si chiedevano in tribuna. Il ragazzino è Mirko Antonucci, anni 18, romano, una rosa tatuata sul polso con la scritta "buena suerte". E un piede sinistro da cui sarebbe partito il pallone trasformato da Dzeko nell'1-1. Ma quella sostituzione, oggi, somiglia tanto a un'inversione di rotta. O almeno alla testimonianza che qualcosa può cambiare anche a Roma.

PLUSVALENZE E IL "CASO" PELLEGRINI - A fine partita, c'era chi mormorava: "Ha fatto più Antonucci in 15 minuti che Under in tutta la stagione". Ed è una cattiveria nei confronti di un ragazzo arrivato a Roma nel giorno dei suoi vent'anni dal Basaksehir, in Turchia, senza parlare una parola di italiano e catapultato in un mondo complesso come quello romanista. Di tempo per far ricredere chi lo critica ne avrà. Certo però l'andamento della partita di Marassi deve far riflettere. Perché Mirko Antonucci poteva chiamarsi Federico Ricci. Oppure Matteo Politano, Davide Frattesi, Luca Mazzitelli o Riccardo Marchizza: ragazzi cresciuti a Trigoria, promettenti, ma che con la Roma non hanno giocato mai: per loro - per la loro crescita - la società ha scelto soluzioni alternative. Una decisione che ha pagato per Romagnoli e Bertolacci, utili a garantire plusvalenze da leccarsi i baffi. Ma che rischia di portare alla dispersione di ragazzi prodotti in casa. Per riavere Lorenzo Pellegrini, Pallotta ha versato al Sassuolo i 10 milioni previsti dalla clausola di riacquisto, la prova che in lui credevano anche quando parevano averlo "regalato" per un milioncino. Ma il presidente ha anche temuto di perderlo, visto che su di lui s'erano mosse Milan e Juve. E allora sarebbe stata dura da mandar giù.

DA GERSON A POLITANO - Sabatini prima e Monchi oggi, hanno puntato spesso sul prodotto d'importazione. In principio fu José Angel. Poi i vari Marquinhos, Paredes, Sanabria, Tallo, Uçan, Sadiq, Gerson, Under. Calciatori su cui la Roma ha investito soldi, tanti: una cinquantina di milioni totali. Gli ha dato fiducia e spazio in campo: qualcuno ha ripagato l'investimento quintuplicandolo (Marquinhos, Paredes), qualcuno ha coperto i costi (Sanabria), tanti sono svaniti senza lasciare traccia. Lo stesso Gerson, cui Di Francesco ha spesso dato fiducia, lascia oggi più domande aperte che risposte. Su un ragazzo di 20 anni sarebbe superficiale tracciare sentenze definitive. E in fondo "scommesse" simili (costose, se Gerson è stato pagato 18 milioni) sono giustificate dalla politica del "trading" scelta dalla Roma: comprare a prezzi accessibili calciatori promettenti da valorizzare e rivendere, incrementando i ricavi. La domanda, legittima, è però se tra un Sadiq e un Uçan, non meritasse un po' di spazio quel Politano che oggi il Napoli tratta col Sassuolo su base 20 milioni. O magari Pettinari, 12 gol in B col Pescara. E l'elenco è lungo. Presto Monchi e Di Francesco dovranno porsi il problema di decidere cosa fare con Antonucci: chissà che, ripensando a quel lob morbido per la testa di Dzeko, non decidano per una volta di invertire la rotta.
di Matteo Pinci
Fonte: La Repubblica
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